Non è successo niente. Come tradizione, Israele non diffonde comunicati stampa sulle sue missioni segrete: mai volato sull’Iran né mai teleguidato droni o missili. Gli iraniani dicono di avere intercettato velivoli sconosciuti, probabilmente lanciati dal vicino Azerbaijan o da organizzazioni ostili. Quasi incomprensibile che nel resto del mondo sia salita l’ansia per un’inarrestabile escalation.
Nel mondo reale, informati per tempo, sono stati gli americani a rendere noti i fatti. I più ottimisti pensavano che gli israeliani avrebbero fatto passare la Pasqua ebraica, nella settimana dal prossimo lunedì a quello successivo. Col trascorrere dei giorni nessuno più dubitava che una risposta all’Iran ci sarebbe stata. Bisognava solo immaginarne l’entità, gli obiettivi, se dentro i confini iraniani o contro qualcuno dei numerosi alleati di Teheran in Libano o Siria.
C’è dunque stata nella notte la vendetta israeliana all’attacco di droni iraniani dello scorso week-end, che era stata la vendetta iraniana all’attacco israeliano al suo consolato di Damasco: in questa faida c’è molto realismo geopolitico ma anche un po’ di machismo militarista.
Missione rapida nei tempi, ma ancora bisogna capirne la forza e le conseguenze politiche. L’obiettivo scelto dagli israeliani è stata Isfahan, la città a Sud di Teheran. Oltre che antiche moschee e minareti di grande valore storico ed artistico, fuori città c’è anche un centro fondamentale del programma nucleare iraniano. Le informazioni sono ancora scarse ma una delle poche cose fatte trapelare dagli aggressori è che le installazioni atomiche non erano un obiettivo. Non è chiaro se siano stati usati droni o missili: non l’aviazione, come si era temuto.
E’ tuttavia importante che di primo mattino l’Iran abbia diffuso sui canali internazionali le immagini dal vivo di una Isfahan tranquilla e soleggiata, col traffico regolare e nessun segno di allarme. Un comportamento inusuale. Avrebbero potuto sposare la tesi della brutale aggressione israeliana, vendetta che li avrebbe costretti a una contro-vendetta in questa cavalleria rusticana apparentemente senza fine. Invece hanno detto di aver abbattuto tre droni, che l’attacco nemico – chiunque fosse – era fallito e che non c’erano state vittime né danni.
Sembra dunque che i due nemici stiano in qualche modo ammettendo di essere arrivati a una condizione di uguale deterrenza. Non era mai accaduto che l’Iran attaccasse il suolo israeliano; né mai che gli israeliani colpissero quello iraniano. Lanciando droni e missili che non hanno fatto danni, la settimana scorsa gli iraniani avevano dimostrato di poter raggiungere Israele. Rispondendo con un attacco dalle dimensioni limitate, anche gli israeliani hanno dimostrato di poter arrivare in Iran. Posta in questi termini, la faida dovrebbe finire qui. Ma al momento rimane un’ipotesi ottimistica.
Restano ancora la guerra di Gaza, Hamas, Hezbollah, il governo estremista di Bibi Netanyahu, le ambizioni regionali dell’apparato politico-militare di Teheran. E’ molto probabile che la settimana scorsa l’Iran abbia volutamente lanciato su Israele droni e missili di bassa qualità: voleva essere un gesto, non l’inizio di una guerra.
Ma in Israele e negli Stati Uniti qualcuno lo ha interpretato come una prova di debolezza. “La triste verità è che la deterrenza israeliana e americana verso l’Iran, è fallita”, sosteneva John Bolton, uno degli entusiasti sostenitori dell’invasione dell’Iraq nel 2003. Per l”ex ambasciatore Onu di George W. Bush e consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, era l’occasione per distruggere il programma nucleare iraniano. Il pericolo di un’altra escalation fra Israele e Iran, dunque, non è passato. E’ stato solo congelato.