“Una terra senza popolo per un popolo senza terra”, era uno degli slogan del sionismo, verso la fine del XIX secolo. Che gli ebrei europei fossero un popolo senza un’identità nazionale, era vero: il vecchio continente cristiano continuava a negare loro il diritto a un’autentica assimilazione. Che tuttavia la terra indicata, la Palestina, fosse priva di abitanti, era una falsità a fini politici. Oggi la chiameremmo fake news.
Il conflitto fra israeliani e palestinesi è antico. Il tempo che di solito placa i rancori, in questo caso li ha inaspriti. E’ incominciato alla fine del XIX secolo con l’arrivo in Palestina dei primi sionisti dall’Europa orientale; è proseguito in diverse forme lungo tutto il XX, e nel XXI non da’ segni di accomodamento. Allora non esisteva un risorgimento nazionale palestinese: nell’impero ottomano quel territorio era parte della Grande Siria. Furono gli inglesi, alla fine della I Guerra Mondiale a impadronirsene e a creare il mandato di Palestina in quella che oggi è Israele, Gaza e Cisgiordania.
Un nazionalismo arabo palestinese incominciò a prendere corpo osservando la crescita e l’organizzarsi di un nazionalismo ebraico: una bandiera, un inno, una milizia, scuole, una banca, il sindacato Istadrut. Sin dall’inizio furono pochi i tentativi di creare una stabile convivenza. Anche il sindacato ebraico di matrice marxista stabiliva che gli operai arabi dovessero avere salari inferiori a quelli degli ebrei.
Il primo scontro dell’infinito conflitto fra ebrei e palestinesi, avvenne nel 1918, un anno dopo la conquista britannica. Un gruppo di studenti ebrei con il loro insegnante issarono uno striscione inneggiante al sionismo sulla porta di Jaffa nella città vecchia. Due giovani palestinesi, un cristiano e un musulmano, assalirono il gruppo e strapparono lo striscione. I due ragazzi furono condannati a scusarsi con l’insegnante che avevano colpito con l’asta della sua bandiera, e a pagare lo striscione distrutto. In seguito non sarebbe più andata così. Dai timidi tentativi di comunicare, le due comunità scivolarono sempre più verso la completa incomprensione. “Non sono a favore di nessuno ma di entrambi”, scrisse nelle sue memorie Ronald Storrs, il primo governatore britannico della Palestina. “Due ore di lamentele arabe mi spingono in una sinagoga;dopo un corso intenso di propaganda sionista sono pronto ad abbracciare l’Islam”. Un sentimento che nei decenni successivi avrebbero provato molti corrispondenti.
Ci fu una prima sanguinosa rivolta araba nel 1929 con 133 ebrei e 116 palestinesi uccisi. La “Grande rivolta” avvenne fra il 1936 e il 39: per la prima volta gli arabi chiesero l’indipendenza e protestarono contro le politiche
britanniche a favore della migrazione ebraica. In pochi anni gli ebrei di Palestina passarono da 56 a 320mila.
La calma non fu più ripristinata fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e lo scontro riprese immediatamente dopo. Entrambi i nemici fecero ampio uso di metodi terroristici. Stanchi di perdere uomini, denaro e tempo, nel 1947 gli inglesi posero fine al loro mandato e affidarono alle Nazioni Unite, quello che l’ultimo alto commissario definì “Una Palestina intera”. Come nel Sub-continente indiano e in diverse altre parti del mondo, il compito dell’Onu fu invece quello di preparare un piano di spartizione fra uno stato ebraico e uno arabo” .
Istigati dai paesi arabi circostanti, il cui obiettivo non era promuovere uno stato palestinese ma spartirsi il territorio, i palestinesi rifiutarono il compromesso. La guerra fu totale, parteciparono tutti i paesi arabi della regione: non con i loro eserciti ma mandando contingenti impreparati e male armati. Anche gli ebrei lo erano ma rappresentavano la crema dell’intelligenza europea che l’Europa aveva perseguitato; i paesi arabi erano sottosviluppati.
Lo stato ebraico appena nato conquistò più territorio di quello che era stato offerto dall’Onu. Nel 1948 oltre 700mila palestinesi furono cacciati o fuggirono dalle loro terre. Fu la Nakba, la catastrofe, che ogni 15 maggio viene celebrata con dolore. Lo stesso giorno in cui gli israeliani festeggiano il loro Independence Day. Altre centinaia di migliaia di palestinesi sarebbero diventati profughi nel 1967.
“Il mio è un appello urgente a causa della mobilitazione delle forze del fondamentalismo atavico sia fra i sionisti che fra gli arabi. In assenza di una modica quantità di giustizia per il popolo palestinese queste forze potrebbero rovinare anche nel secolo a venire le vite delle generazioni non ancora nate”. Lo scrisse nel 1992 Rashid Khalidi, un famoso professore palestinese che insegnava ad Harvard. Era la prefazione del suo “Tutto quel che resta”, il volume che voleva salvare la memoria dei 418 villaggi palestinesi distrutti nel 1948, durante la Nakba: dove, quanta gente, cosa producevano. Non c’è stata alcuna modica giustizia proposta da Khalidi. Ha vinto il “fondamentalismo atavico” delle due parti.
Il Sole 24 ore, 15/10/23