Il 31 agosto alla frontiera del ponte di Allenby, nella valle del Giordano, un cittadino italiano è stato arrestato dagli israeliani. Lo hanno interrogato e poi, davanti alla moglie e al figlio di quattro anni, lo hanno ammanettato.
L’assistenza consolare italiana è scattata attraverso due ambasciate – quella di Tel Aviv e di Amman in Giordania, dove la moglie aveva chiesto aiuto – e il consolato di Gerusalemme. Ma ai nostri non è stato concesso d’incontrarlo né le autorità israeliane hanno chiarito le ragioni dell’arresto.
Il 7 settembre c’è stata finalmente un’udienza nella quale un giudice non ha formalizzato accuse e prorogato la custodia fino al 14 settembre. In quell’occasione un diplomatico lo ha potuto vedere, trovandolo “abbastanza bene”. Non era stato concesso un colloquio nemmeno all’avvocato, al quale continua ad essere negato l’accesso all’assistito.
Dopo il 14 potrebbe esserci un’altra proroga di 54 giorni, fino a che non saranno trovate prove a suo carico che ne motivino l’arresto. E’ qualcosa di simile a ciò che gli israeliani chiamano “detenzione amministrativa”: ne sono vittime migliaia di palestinesi. Nella così detta unica democrazia del Medio Oriente è costume arrestare e detenere persone anche oltre i 45 giorni, senza spiegarne le ragioni: intanto ti arrestiamo, poi vedremo.
Una spiegazione di questo comportamento con un cittadino di un paese amico, è nel nome dell’arrestato: Khaled El Qaisi, per metà palestinese e per l’altra italiano. Per Matteo Salvini e Roberto Vannacci, l’ex generale della Folgore, probabilmente questo spiegherà tutto. Ma Khaled è figlio di un’ “italiana italiana”, marito di un’ “italiana italiana” e padre di un piccolo “italiano italiano”, anche se lui è un “palestinese italiano”.
Permettetemi una piccola digressione. Quando sento “Folgore”, non mi viene in mente Vannacci ma il generale Franco Angioni. Della brigata paracadutisti ne fu il comandante e dal 1982 all’84 guidò il Contingente italiano in Libano. Io c’ero. Quella missione fallì per colpa di libanesi, siriani e americani. Angioni però fu un grande generale perché con Italcon fece cambiare radicalmente la pessima opinione che gli italiani avevano dei militari. L’esatto opposto di quello che ora sta facendo Vannacci.
Torniamo a Khaled El Qaisi. Gli israeliani hanno tutto il diritto di sospettarlo e fermarlo, circostanziando però le ragioni. Normalmente è così che si fa in un paese democratico. Se poi ne provano le colpe hanno il diritto di condannarlo. E’ però intollerabile che un cittadino italiano venga arrestato senza apparente motivo, non possa vedere il suo avvocato né incontrare facilmente un suo rappresentante diplomatico. Già che c’erano, gli israeliani hanno anche imposto la censura sul caso.
Fino a prova contraria, Khaled è un italiano innocente.
A proposito d’italiani e Israele. Il 23 e 24 ottobre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni andrà in Israele in visita ufficiale. Non sarà solo un incontro fra capi di governo ma molto di più: un vertice intergovernativo. Meloni porterà con se diversi ministri che incontreranno i loro omologhi israeliani. E’ qualcosa che accade solo fra paesi molto amici, di solito alleati.
L’amicizia fra Italia e Israele è solida ma oggi in Israele non c’è un solo Israele. Quello al governo è il peggiore, nazional-religioso e razzista che la storia di questo caparbio paese ha conosciuto. Qualche anno fa Israele arrestava per estremismo i sobillatori che oggi Bibi Netanyahu eleva al rango di ministri.
Uno di questi, il ministro per la Sicurezza Itamar Ben Gvir, principe dei coloni più violenti, pochi giorni fa sosteneva che la sua libertà di muoversi nei territori occupati dove vive, prevale su quello degli abitanti palestinesi.
Per me questo è Apartheid. All’ex capo del Mossad, Tamir Pardo, ricorda il Ku Klux Klan.
A proposito di razzismo, il ministro degli Esteri Eli Cohen del Likud, ha ordinato al suo ambasciatore a Bucarest d’incontrare i capi del partito antisemita romeno: nella speranza che sostengano l’annessione israeliana dei territori occupati palestinesi. Perché – avrà forse pensato il ministro – nella classifica del nauseante ma immortale antisemitismo europeo, ora gli arabi contano più degli ebrei.
Non basta che il governo lasci a Roma Matteo Piantedosi e Giancarlo Giorgetti, affinché non incontrino i due insopportabili omologhi: appunto Ben Gvir e Bezelel Smotrich, inconsapevole ministro delle finanze. Il premier Netanyahu e il Likud sono responsabili di avere aperto i cancelli al peggio d’Israele.
Questa visita ci inimicherà l’altra Israele che manifesta da 35 settimane per difendere democrazia e laicità del paese. Tutti i sondaggi dicono che è già maggioranza. E probabilmente anche i nostri alleati più importanti non la prenderanno bene. Nessuno paese occidentale che un po’ conta, organizza vertici come il nostro. Lo hanno fatto i soliti ungheresi e slovacchi.
In Israele sono venuti il consigliere per la sicurezza nazionale e il segretario di Stato americani: ma per questioni strategiche mediorientali. Dopo tre anni alla Casa Bianca, Joe Biden ancora si rifiuta di ricevere Netanyahu.
E’ venuta la ministra Anna Maria Bernini perché è giusto che non si debbano interrompere i rapporti fra le università e le società civili. L’ambasciata italiana organizza ogni anno un concorso perché i nostri giovani abbiano un’esperienza diretta con il fenomenale successo dell’Hi-Tech israeliano. Questo è sano. Sebbene molte imprese stiano abbandonando il paese per non essere governate da Netanyahu e da una teocrazia ebraica.
Francamente la nostra sarà una visita sbagliata, nel momento sbagliato. Se guardiamo all’interesse nazionale (noi italiani dovremmo guardarci un po’ più spesso), incontrare Bibi non è di alcuna utilità.
Come motivo di riflessione, al caso di Khaled El Qaisi aggiungerei le gesta di Eli Cohen. La Farnesina si era impegnata per favorire i contatti fra Israele e Libia. Grazie a noi, Cohen aveva avuto un incontro proficuo con l’omologa di Tripoli.
Alla caccia di un successo politico, Cohen ha raccontato tutto sui social. A Tripoli sono scoppiati i disordini, la ministra libica ha dovuto fuggire in Turchia. E la forte irritazione del nostro governo dovrebbe essere d’aiuto nel definire le opportunità della visita di ottobre.
Non basta, forse convinto di avere la lungimiranza di Metternich e il realismo di Kissinger, Cohen ci ha già imposto il suo prossimo ambasciatore. Alon Bar, l’attuale rappresentante a Roma, un professionista della diplomazia, l’anno prossimo andrà in pensione.
La consuetudine diplomatica vuole che si proponga un nome e si attenda il gradimento del Colle. Cohen invece ha già annunciato che il prossimo ambasciatore sarà l’attuale sindaco di Ma’ale Adumim, il più grande insediamento israeliano nei Territori occupati. Praticamente un ambasciatore colono. Quando Cohen aveva cercato di fare qualcosa di simile a Parigi, i francesi avevano respinto la sua imposizione.
Qualche giorno fa sul New York Times, Thomas Friedman commentava il tentativo americano di normalizzare i rapporti fra Arabia Saudita e Israele. Sulla questione, Netanyahu sta manovrando con la consueta ambiguità. Friedman è uno dei massimi esperti d’Israele; nel suo corsivo si appella a Joe Biden e Mohammed bin Salman, principe ereditario saudita: “Non fate che Netanyahu faccia di voi i suoi stupidi idioti: non avrete la normalizzazione con un governo israeliano che non è normale”.