La guerra in Ucraina e gli altri

“Ho visto troppa ipocrisia, soprattutto nel continente africano”, aveva detto irritato Emanuel Macron. Pochi giorni prima, il 2 marzo dell’anno scorso, all’assemblea generale delle Nazioni Unite 35 paesi si erano astenuti dal voto di condanna dell’aggressione russa all’Ucraina. Di questi 17erano africani, altri otto erano volutamente assenti e uno, l’Eritrea, aveva votato contro.

L’astenuto più autorevole era stato il Sudafrica. Ancora più importanti fuori dall’Africa (c’erano stati astenuti in tutti i continenti eccetto l’Oceania), India e Indonesia avevano dichiarato la loro neutralità rispetto alla guerra. L’esperienza coloniale aveva avuto il suo peso: quell’epoca non è così lontana. Nel 1884, quando fu convocata la Conferenza di Berlino, l’80% dell’Africa era libero; 30 anni più tardi sette paesi europei ne possedevano il 90.

L’indiano Sashi Tharor, ex sottosegretario Onu, qualche tempo fa aveva proposto agli inglesi un simbolico risarcimento di una sterlina l’anno per 200 anni. Nel XVII secolo il 23% dell’economia mondiale era indiano: quanto l’intera Europa. Nel 1947, quando gli inglesi se ne andarono, l’economia indiana era il 3%. Russia/Unione Sovietica non furono meno colonialisti ma la loro conquista era concentrata dal Caucaso alla Siberia, sui popoli del loro impero.

Tuttavia la ragione più importante del presunto tradimento del Sud Globale è un’altra. Per i paesi non direttamente coinvolti nel conflitto, “l’Ucraina riguarda il futuro dell’Europa, non il futuro dell’ordine mondiale. La guerra è diventata una distrazione dalle questioni globali più pressanti del nostro tempo”, spiega Shivshankar Menon, ex consigliere per la sicurezza nazionale del governo indiano.

La pandemia e la guerra in Ucraina significano meno investimenti, meno disponibilità di derrate alimentari, meno programmi di assistenza economica. E’ stato calcolato che il costo dell’aiuto ai rifugiati ucraini è di circa 30 miliardi di dollari. Per sostenerlo molti paesi donatori, in gran parte occidentali, hanno tagliato i programmi per i profughi del resto del mondo. I bilanci dell’aiuto umanitario occidentale sono invariati ma i paesi in via di sviluppo hanno ricevuto molto di meno.

In Africa e Asia sono 50 i paesi che stanno affrontando una crisi del debito. Partnership for Global Infrastructure è il nome di una grande iniziativa lanciata recentemente dal G7: 600 miliardi promessi – ma non materializzati – per investire nelle infrastrutture necessarie alla crescita dei paesi più poveri. Dovrebbe essere la risposta occidentale ai mille miliardi della cinese “Via della Seta”. Gli obiettivi geopolitici di quest’ultima sono evidenti; i cinesi hanno costruito infrastrutture ma indebitato molti paesi in via di sviluppo. Tuttavia in molti continenti stanno vincendo la guerra del soft power, conquistando le simpatie che Usa ed Europa stanno perdendo.

Se dunque lo osserviamo oltre i confini dell’Europa e del l’America del Nord, il mondo non è come vorremmo, di fronte alla minaccia diVladimir Putin. Ma se pensiamo a come Donald Trump reagirebbe alla guerra se fosse presidente, all’attuale freddezza dei repubblicani; se in Europa esistono diverse sensibilità sul conflitto, perché dovremmo pretendere che Asia, Africa e America Latina garantiscano un monolitico sostegno alla guerra?

Molti sostenitori dell’Ucraina si sentono traditi; i filo-russi, compatti, dicono che l’anti-occidentalismo di Putin è popolare. Sbagliano entrambi. Nessun paese astenuto sostiene la Russia. L’India compra a prezzo stracciato i barili di petrolio che Mosca non vende all’Europa ma il premier Narendra Modi ha rimproverato più di una volta Putin. Neanche l’amicizia “senza limiti” di Xi Jinping basta perché la Cina dia armi ai russi.

Il Sud Globale rifiuta di identificarsi con gli Stati Uniti né con la Russia. Neanche con la Cina. Le tre grandi potenze che hanno sostituito l’età della Guerra Fredda e il breve mondo unipolare americano, hanno perso prestigio e potere agli occhi del mondo emergente: la credibilità americana messa in discussione ogni quattro anni quando si elegge un presidente; la brutalità dell’invasione russa all’Ucraina; le ambizioni imperiali cinesi.

Sta forse per rinascere movimento dei non allineati? In realtà non è mai nato: quello che pretendeva di esserlo non era compatto né equidistante. Ancora secondo Shivshankar Menon, ciò che sta accadendo è diverso: “la rivalità fra grandi potenze ha spinto molti paesi del Sud Globale ad essere disallineati piuttosto che non allineati: dissociati dall’ordine presente e in cerca delle loro soluzioni indipendenti”.

 

 

  • carl |

    Lei ha fatto bene a menzionare il parere dell’ex consigliere indiano Shivshankar Menon il quale da una parte evidenzia come, anche tra i residenti nell’emisfero australe, nella valutazione, o nel non- allineamento e/o disallinemamento (o semplicemente per quanto riguarda l’indifferenza..) si prenda sopratutto in considerazione la distanza alla quale si verifica questo o quell’evento di natura geopolitica, o altra..
    Ed il fatto è che la guerra ucraina è non solo combattuta con armamenti convenzionali, ma è anche circoscritta in territorio europeo, almeno per ora. E nessuno sa se vi sarà l’ipotizzata “escalation”. Tuttavia quel che è certo e arcinoto è che, in ogni caso, nelle menti dei politici (ed affini) vige il cosiddetto “carpe diem”, cioè il vivere alla giornata e/o comunque il pensare, progettare, agire, ecc. a breve termine o “court-termisme”.. Mentre del medio o lungo termine essi sogliono occuparsene soltanto a parole e sulla carta..
    Quanto alle prassi che hanno caratterizzato il colonialismo euro-occidentale, esse sono di dominio pubblico e, nonostante un crescente indebitamento, non è soprendente che in Africa siano considerate di gran lunga migliori quelle cinesi.
    E che dire del “Partnership for Global Infrastructures” e della menzione di 600 miliardi di $..? Beh, il fatto è che non solo si tratterebbe di un’iniziativa presa molto in ritardo ma che, allo stato delle cose, rimane soltanto teorica e dunque tutt’altro che concretamente efficace.
    Infine, se ne avessi l’occasione, mi congratulerei con Menon per avere esternato anche il concetto che: “..La guerra ucraina è diventata una distrazione dalle questioni globali più pressanti del nostro tempo.”.. Un’ottica e/o convinzione che non escludo sia o possa essere condivisa anche da altri analisti e/o membri di “think tanks”, ma il fatto è che nessuno di essi l’ha finora fatta trapelare..

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