In più di 40 anni di regime, mai la repubblica islamica e le sue regole liberticide erano state così minacciate dall’interno. C’è qualcosa di straordinario e quasi d’inspiegabile nel coraggio delle ragazze iraniane per prime; poi di tutti i giovani, degli operai delle fabbriche in sciopero; infine dei bazaarim, i mercanti delle città, fino a ieri base importante del consenso allo stato islamico.
In gioco non c’è solo il velo né la sopravvivenza della polizia della morale religiosa. E’ uno scontro prima di tutto generazionale: come in diversi altri stati del Medio Oriente, l’Iran è un paese di giovani, governato da vecchi. Incapace di riformarsi, il regime degli ayatollah spreca importanti risorse che dovrebbero servire allo sviluppo economico degli iraniani, per alimentare una forma d’imperialismo sciita regionale: in Irak, Siria, Libano, Yemen; fornendo droni alla Russia con la quale Teheran ambisce a creare una specie di “Internazionale dei sanzionati”, fallimentare a partire dal nome.
Ancora fino a due mesi fa la riattivazione dell’accordo sul nucleare iraniano, sembrava certa grazie alla mediazione dell’Unione Europea. Poi i militari e i guardiani della rivoluzione, i Pasdaran che controllano anche l’economia nazionale, protetti dalla guida suprema Ali Khamenei, avevano sollevato nuovi ostacoli. Ora la via d’uscita europea che sembrava aver messo d’accordo americani e iraniani, è svanita. Con la brutale repressione delle proteste in Iran, l’amministrazione Biden non potrebbe mai far passare un accordo al Congresso.
La questione è se le proteste che si allargano proporzionalmente all’uso ottuso della violenza da parte del sistema, possano sfociare in una rivoluzione; se siano in grado di abbattere il regime. La risposta, probabilmente e sfortunatamente, è no. Quanto meno non in un tempo prevedibile. Come la Russia di Vladimir Putin o la Cina di Xi Jinping, il regime iraniano possiede la forza, il potere economico, gli strumenti repressivi e ancora una percentuale di consenso popolare, per soffocare ogni minaccia che venga dalle manifestazioni popolari.
I difficili rapporti fra repubblica islamica e Occidente sono piuttosto sfortunati. Soprattutto con gli Stati Uniti: quando aTeheran governava un moderato, alla Casa Bianca c’era un presidente contrario al dialogo (George W. Bush aveva collocato l’Iran nell’ ”asse del male”; Donald Trump aveva cancellato gli accordi sul nucleare). Quando a Washington ce n’è uno disposto al dialogo, in Iran comandano gli islamisti più radicali.
Tuttavia non c’è regime al mondo, nemmeno il più autoritario e brutale, che sia un assoluto monolite. A Mosca, probabilmente anche dentro il Cremlino, c’è qualcuno che si chiede fino a dove voglia arrivare Putin nella sua insensata guerra all’Ucraina.
Anche dopo la vittoria di ottobre al XX Congresso, Xi Jinping forse non è così inattaccabile: la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso la crescita del Pil cinese dal’8,1% dell’anno scorso al 2,8 del 2022; le multinazionali investono in India e non più in Cina; la politica “zero Covid” è un fallimento; e a causa dell’assertività internazionale di Xi, in Asia la Cina non è circondata da amici ma da paesi preoccupati. Nel partito, forse anche dentro il comitato permanente del Politburo, potrebbe riapparire l’opposizione interna.
Gli uomini che occupano le posizioni di comando – nei regimi autoritari le donne sono sempre poche – devono il loro potere al leader. Ma quando è lo stesso leader, con le sue decisioni, a mettere a rischio la loro parte di potere, è la fedeltà che si incrina.
Nel confronto con gli altri due paesi illiberali – Russia e Cina – l’Iran è il più aperto. Le elezioni sono quasi vere. In passato hanno vinto i riformisti o i più moderati. Da diverso tempo la parte più oscurantista e religiosa del potere, inventa cavilli legali per impedire ai candidati democratici di partecipare. Ci riescono. Ma se sono costretti a violare le regole significa che dentro il sistema c’è un’opposizione al loro modo di concepire l’Iran: un’opposizione capace di conquistare il consenso popolare nelle urne, se lasciata libera di esprimersi. Ma prima che si arrivi a questo, i pasdaran useranno tutta la violenza che possiedono e molti altri giovani iraniani saranno le loro vittime.