In un’altra America già da presidente Donald Trump avrebbe dovuto essere posto sotto impeachment. Oppure l’ex presidente Trump ora dovrebbe essere davanti a un giudice in un’aula di tribunale. Ma nell’America di oggi, polarizzata come non accadeva dalla Guerra Civile del 1861, le verità hanno le loro “alternative”, l’evidenza di un risultato elettorale viene negata, l’assalto alle istituzioni della sua democrazia derubricato a incidente.
“Un’aggressione di questo genere può solo accadere nei paesi falliti del Terzo Mondo”, ha protestato Donald Trump. Si riferisce all’irruzione dell’Fbi nella sua villa di Mar-a-Lago in Florida, l’altra notte. I federali avevano cercato e trovato 15 scatole di documenti classificati, cioè top secret per la sicurezza della nazione. Trump non ha del tutto torto: dopo i suoi quattro anni alla Casa Bianca e il tentativo di sovvertire la provata vittoria democratica, è legittimo chiedersi se in alcuni aspetti gli Stati Uniti non sembrino davvero un paese del Terzo Mondo. O quanto meno non assomigli al Brasile di Jair Bolsonaro.
Un presidente in carica può consultare alla Casa Bianca tutti i documenti segreti che desidera. Può anche de-classificarli, se lo crede. Nel 2019 Trump, utilizzatore compulsivo di Twitter, pubblicò sul social la foto molto segreta di una rampa missilistica iraniana, contro il parere dell’intelligence.
Ma nessuno, nemmeno un ex presidente, può portarsi a casa un documento classificato. Quando si scoprì che Hillary Clinton aveva usato la mail del dipartimento di Stato per messaggi personali, durante le elezioni del 2016 Trump organizzò una campagna di diffamazione che contribuì alla sconfitta della candidata democratica. In passato è capitato che funzionari di rango inferiore venissero anche arrestati per queste violazioni.
Ora Trump sostiene che l’irruzione degli agenti federali a Mar-a-Lago sia un tentativo “dell’estrema sinistra democratica” d’impedirgli la ricandidatura repubblicana nel 2024. Ma era stato lui a nominare il repubblicano Christopher A. Wray alla direzione dell’Fbi.
La presunta violazione dei documenti classificati (solo se fosse provato che da presidente li aveva desecretati, non sarebbe un reato) dovrebbe essere solo l’ultima irregolarità di Trump: rimangono gli opachi rapporti con Vladimir Putin durante la campagna di sei anni fa e dopo; i molti tentativi di modificare un risultato elettorale a suo sfavore nel 2020. E come conseguenza di questo, l’assalto alla collina del Campidoglio il 6 gennaio di un anno fa. Nelle sue ricerche e nelle sue audizioni publiche, la Commissione parlamentare ha raccolto e mostrato così tante prove e testimonianze sulle responsabilità di Donald Trump, che a un ex presidente così dovrebbe essere quanto meno vietato l’accesso a qualsiasi carica pubblica: dalla presidenza in giù.
Ma l’America è cambiata. Le sue dinamiche demografiche provano la crescita delle minoranze razziali e la lenta ma costante riduzione della natalità nella maggioranza bianca; la cattiva distribuzione della ricchezza nazionale e delle opportunità; la decadenza infrastrutturale; le incertezze dei mutamenti climatici; le minacce globali, mentre l’amministrazione Biden cerca con molta fatica di aggiustare il caos del quadriennio di Trump.
Di fronte a queste minacce il partito repubblicano ha in gran parte deciso di barricarsi attorno a Donald Trump. Nonostante i quattro mediocri anni presidenziali e tutto ciò che continua ad emergere, i repubblicani che hanno criticato i comportamenti dell’ex presidente vengono emarginati. Rivendicando una inesistente realtà alternativa, in molti casi i sostenitori di Trump vincono le primarie di partito che determinano i canditati alle elezioni di mid-term del primo novembre.
E’ una tendenza, non ancora un’evidenza. Nel migliore dei casi lacererà il partito, spingendolo a una salutare rifondazione; nel peggiore, il partito nato nel 1854 a Ripon, Winsconsin, riformista per vocazione, finirà nelle mani di Donald Trump o di qualche suo clone. Se poi questo partito repubblicano conquisterà a novembre i due rami del Campidoglio e la Casa Bianca nel 2024, sarà una minaccia per la democrazia occidentale più grave di qualsiasi altro eventuale smottamento elettorale in Europa.
Il Sole 24 Ore, 10/8/2022