Donald for President. Again

trumpC’è un paese il cui presidente uscente rifiuta la sconfitta elettorale e lancia accuse infondate di brogli contro l’avversario; un presidente che dieci giorni dopo il voto continua a proclamarsi vincitore, rifiuta una transizione pacifica e si è chiuso nel suo palazzo dopo averlo circondato da un muro. A un suo cenno, milizie tribali a lui fedeli, e armate, possono far precipitare il paese nel caos.

Comprensibilmente, penserete che questo post sia dedicato a una nazione africana della fascia sub-sahariana. Invece no. Parla degli Stati Uniti d’America, il paese che più di ogni altro dovrebbe rappresentare e difendere il sistema democratico occidentale. Nella divertente dimostrazione di una paradossale inversione dei ruoli, l’araba @noor twitta che per uscire dalla sua impasse “l’America ha bisogno della soluzione dei due stati”. E il keniota @gathara spiega che “mentre montano le pressioni sul despota americano perché accetti il risultato, una fonte del team dei mediatori dell’Unione Africana rivela che lo staff di Trump ha fatto circolare l’idea di un governo di unità nazionale con Joe Biden primo ministro”.

Dopo aver promesso che una transizione tranquilla ci sarà – quella dal primo al secondo mandato Trump – il segretario di Stato Mike Pompeo ha ricordato che “il mondo ci sta guardando”. E’ vero, ma non come pensa lui: Vladimir Putin e Ji Xinping osservano con entusiasmo e partecipazione il quotidiano discredito del Paese e del modello politico concorrenti ai loro; gli alleati con smarrimento; i paesi del Terzo mondo, quelli in cerca di stabilità che hanno conosciuto la presunzione americana di portare la democrazia agli affamati, con divertita rivalsa. Nessuno ha guardato per le ragioni che Pompeo crede esistano (probabilmente barando anche con se stesso).

Perché tutto questo, perché questa discesa nei bassifondi dell’egocentrismo fino a devastare il sistema politico, l’alternanza di potere, i check and balance che sostengono e moralmente giustificano il ruolo dell’America nel mondo? L’ambizione sfrenata, l’imprevedibilità, l’ignoranza politica e la deficitaria statura morale non bastano a spiegare una vicenda che non ha precedenti nella storia del paese. Qualcosa forse di vagamente paragonabile è l’elezione di Abraham Lincoln nel 1860, che qualche mese più tardi portò alla secessione degli stati del Sud.

La mia impressione è che Donald Trump sia in campagna elettorale. Non quella del voto della settimana corsa. La vanità di Trump che ammette solo la vittoria, pulita o comprata che sia, ha ancora bisogno di qualche giorno per digerire il rospo e accettare tutti i parafernalia della transizione: la concessione pubblica, il colpo di telefono all’avversario, il te fra le due first ladies, la visita guidata alla Casa Bianca. Anche quando ammetterà la sconfitta, queste cose probabilmente non le vedremo. No, la campagna elettorale in corso riguarda due elezioni che devono ancora avvenire.

La prima è quella dell’inizio di gennaio in Georgia per due seggi senatoriali. In quello stato la legge prevede che si vada al ballottaggio anche se i candidati sono solo due, nel caso in cui il vincitore del primo turno non superi il 50%. Qualora i due vincitori repubblicani confermassero il vantaggio, il Senato di Washington avrà una maggioranza repubblicana. Questo sarà fondamentale per il successo nel secondo voto per il quale Trump è già in campagna, facendo ostruzionismo alla limpida vittoria di Biden: le presidenziali del 2024.

Con un Senato nelle mani del fedelissimo Mitch McConnell, il capogruppo repubblicano, il partito eleverà una muraglia davanti a tutte le riforme di Biden. La guerriglia vietcong organizzata contro Barack Obama e la sua riforma sanitaria sarà uno scherzo, al confronto. L’obiettivo è far fallire la presidenza democratica e aprire la strada al ritorno trionfale di Trump come accadde solo a Grover Cleveland nel 1893, che fu il 22° e 24° presidente.

Ai più, noi del “mainstream”, come veniamo chiamati dai populist/sovranisti trinariciuti (quest’ultimo un vecchio termine che usava Indro Montanelli per indicare la base del Pci pre-berlingueriano), non sembrerà un’efficace campagna elettorale violare tutte le regole possibili del vivere comune in una democrazia. Ma probabilmente Trump ha ragione, pensando ai 71 milioni di elettori che hanno blindato il suo potere sul Partito repubblicano e sono la sua dote per il 2024: se hanno accettato con entusiasmo i quattro terrificanti anni della sua presidenza, non può che eccitarli quello che stanno vedendo ora: Washington come Bamako. Next stop, Atlanta Georgia.

Http://www.ispionline.it/it/slownews-ispi/

In occasione dell’anniversario della caduta del Muro di Berlino, Ispi ha ripubblicato un mio racconto

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mangiare-ananas-da-quella-parte-del-muro-24356

E nell’anniversario della strage di Parigi e del Bataclan, ripropongo un mio articolo sul sito del Sole 24 Ore.

https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-02-04/noi-genitori-tanti-valeria-solesin-e-giulio-regeni-passione-il-mondo-non-li-fermera-151829.shtml?uuid=ACW1jeNC

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