Eccoci di nuovo alle prese con la nostra storia, sintesi dei limiti e delle insicurezze di un popolo, e dell’inadeguatezza delle sue classi dirigenti. L’ultimo sondaggio di Eurobarometro ci dice che solo il 44% degli italiani oggi voterebbe per restare in Europa.
Contendiamo il primato dello scetticismo solo all’autorevole Repubblica Ceca. Perfino i sovranisti dell’Est, alleati della Lega, sono molto più europeisti e molto meno filo-russi dei nostri. Da due anni alle prese con Brexit – prove di uscita reale dalla Ue, non ipotetica – il 53% degli inglesi voterebbe “remain” se oggi si rifacesse il referendum.
Ad aprile eravamo più euroscettici e un anno fa ancora di più: a novembre 2017 solo il 36% pensava che fosse positivo appartenere alla Ue. Come capita spesso ai sondaggi, anche quello di Eurobarometro non è in bianco e nero: il 65% degli italiani è inspiegabilmente favorevole all’euro. E solo il 24 ha dichiarato di voler imitare gli inglesi: c’è un 32% d’incerti. Tuttavia il chiaro segnale di freddezza contro un dato continentale al 65% di favorevoli alla nostra unione, è un fatto.
Non c’è nulla di straordinario, al contrario è un segnale ripetuto e coerente con l’atteggiamento degli italiani verso il mondo fuori dal giardino di casa, oltre i nostri confini nazionali. Una volta di più abbiamo deciso che se il nostro debito sale, i nostri giovani non trovano lavoro e sono i meno pagati; se le imprese producono poco, non difendiamo l’export, l’evasione fiscale vale 130 miliardi l’anno e quella dell’Iva 37, se non c’è selezione della classe dirigente né competitività nemmeno in serie A. Se tutto questo accade in Italia, la colpa è degli altri. Ora in particolare dell’Europa. Lo dice chi ci governa ma tendiamo sempre a credergli perché ci fa comodo.
E’ la stessa Europa alla quale negli anni ’80 affidavamo poteri taumaturgici per risolvere problemi interni dai quali noi, da soli, non sapevamo uscire. Vi ricordate che allora gli italiani, oggi così ostili, garantivano affluenze bulgare ogni volta che si andava a votare per il parlamento europeo? Alle elezioni nazionali si vinceva o si perdeva (nessun partito si dichiarava mai sconfitto) con lo 0,8 in più o in meno. A quelle europee volavamo alto, sperando che il Mec, la Cee e poi la Ue ci facesse uscire dall’immutabile dimensione catto-comunista della nostra scena nazionale, dalla corruzione politica diffusa, dai confini della liretta svalutabile ad hoc.
Era in fondo la stessa Italia di oggi con i medesimi comportamenti. Allora avevamo delle aspettative dall’Europa, oggi cerchiamo il colpevole; allora chiedevamo agli altri la soluzione alla nostra mediocrità nel far funzionare il sistema, ora imputiamo loro il nostro essere ultimi in tutti i parametri che fanno di una Nazione un paese moderno. Noi restavamo sempre nella comoda posizione della vittima che solo gli altri avrebbero redento o solo gli altri condannato.
Vi sembra plausibile che, come sostiene il nostro attuale governo, l’Europa intera abbia torto e l’Italia ragione? E’ utile al paese che i nostri due vicepremier vogliano chiaramente andare allo scontro con la Ue, come si evince dalle loro quotidiane dichiarazioni a volte offensive? Perché non vengono in nostro aiuto nemmeno austriaci, ungheresi, polacchi in quanto sovranisti; o greci, spagnoli e portoghesi passati attraverso le nostre stesse difficoltà economiche? Nonostante queste evidenze, continuiamo a coltivare l’hubristica convinzione di contare in Europa e nel mondo, di essere rispettati e ascoltati come se una politica estera non diventasse alla fine la vittima designata di questo comportamento.
“L’Italia farà da sé!”, diceva nel 1848 il proclama di Carlo Alberto, prima che le truppe piemontesi attraversassero il Ticino per liberale il Lombardo-Veneto. Fu forse l’unica volta in cui veramente abbiamo fatto da soli. Comunque finì male. Per liberare l’Italia occorsero altre due guerre d’indipendenza, un premier come Cavour e degli alleati.
http://www.ispionline.it/it/slownews-ispi/
Allego un articolo uscito qualche giorno fa sul sito del Sole 24 Ore, dedicato all’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman.