Distratti dalle notizie su un presidente americano sempre più incompetente e un governo italiano sempre più velleitario, il gran ritorno di Barack Obama è passato quasi inosservato. L’ex presidente ha tenuto un lungo discorso all’università dell’Illinois https://www.theatlantic.com/politics/archive/2018/09/barack-obama-american-democracy-trump-speech/569605/.
E’ stato un ritorno sul campo di battaglia perché questi “sono tempi straordinari e pericolosi”. Non era del tutto uscito dalla scena ma prima di Chicago le sue apparizioni pubbliche erano state molto scarse e mai avevano citato Donald Trump per nome. Questa volta il presidente è stato chiaramente il soggetto del suo discorso al campus universitario.
“Come cittadino – non da ex presidente ma da cittadino – sono qui per diffondere un messaggio semplice”, ha detto Obama. “Dovete andare a votare perché la nostra democrazia dipende da questo”. Come è noto, il primo martedì del prossimo novembre, il 6, negli Stati Uniti si vota per le mid-term. A queste elezioni di metà mandato presidenziale, sono in gioco tutti i 435 seggi della Camera dei rappresentanti e 35 dei 100 in Senato. Più 39 governatori e una miriade di consultazioni locali, dai sindaci agli sceriffi di contea.
Per l’Occidente è il primo banco di prova della capacità di reazione occidentale alla montante marea illiberale, dentro i suoi stessi confini geopolitici e morali. La prima prova di resistenza, se i democratici conquistassero la maggioranza nelle due camere, in una delle due o comunque mostrassero una rimonta importante, dopo la vittoria di Trump, due anni fa. Anche il voto al Parlamento europeo contro l’Ungheria di Orban, è stata una prova di resistenza importante e vincente.
Nel suo discorso Obama ha voluto precisare che questa non è una lotta fra destra e sinistra ma per la democrazia: “Non dovrebbe essere democratico o repubblicano dire che non prendiamo di mira alcuni gruppi per come sembrano o per come pregano. Siamo americani. Dovremmo opporci ai bulli, non seguirli…..Quanto difficile può essere dire che i nazi sono il male?”.
Qualche giorno dopo anche l’Europa ha battuto un colpo. Il tentativo di difesa di Victor Orbàn – in realtà era un attacco – è stato arrogante e mistificatorio. La censura della Ue era una “vendetta” contro un paese che “ha il coraggio di rifiutare d’essere un paese di migranti”. La messa in mora non riguardava questo ma il costante attacco alle libertà individuali e collettive, alla stampa, la riduzione del Giudiziario al ruolo di passacarte del potere politico: come dimenticare il salviniano “Io sono stato eletto dal popolo, i giudici no”? E come Salvini, Orbàn usa i migranti per altri scopi.
E’ triste pensare che con la Lega, Nigel Farage, i fascisti francesi e tutto il resto, in difesa di Orbàn abbia votato anche Forza Italia. Se qualche onesto moderato aveva ancora la pazienza di aspettare la rivoluzione liberale promessa 25 anni fa da Berlusconi (mi scuso con Piero Gobetti), quel voto elimina gli ultimi indugi. Votare in quel modo a Bruxelles per avere qualcosa in cambio a Roma – alla Rai o altrove – non è liberale. E mentre accade tutto questo, ascoltando il cosi detto dibattito interno nel Pd, viene in mente anche a voi la Repubblica di Weimar?
Perfino Sebastian Kurz, il giovane e inesperto cancelliere austriaco, ha votato contro lo zelota ungherese della cristianità. E i tanto vituperati tedeschi hanno dato un’altra lezione all’incoerenza italiana: oltre che a Orbàn, naturalmente. Al “membro della famiglia delle nazioni cristiane da migliaia di anni” (provatamente, più di due non possono essere), Manfred Weber ha risposto così: “Se genericamente diciamo che bisogna avere paura dei musulmani e genericamente attacchiamo una religione, facciamo il lavoro dei jhadisti. Europa è l’idea di libertà religiosa e separazione fra stato e chiesa: in questo continente abbiamo inventato i diritti umani, non i diritti cristiani”. Weber non è un ateo no global. E’ un democristiano moderato, è il presidente del gruppo dei Popolari al Parlamento europeo e il candidato più accreditato alla presidenza della Commissione, l’anno prossimo. Se Orbàn, Salvini, Le Pen e Farage non vinceranno con l’aiuto di chi dice di essere liberale.