Qualche giorno fa, dopo l’incontro tra il presidente russo e quello americano al G20 di Amburgo, il sito del magazine The Atlantic titolava: “Trump and Putin’s Rashomon Summit”. Dopo il loro faccia a faccia, il primo aveva raccontato di aver ammonito il russo per le sue interferenze nelle elezioni americane; secondo Putin, invece, Trump aveva riconosciuto l’innocenza russa.
Rashomon è il primo capolavoro di Akira Kurosawa. Racconta dell’assassinio di un samurai e delle diverse ricostruzioni del fatto di quattro testimoni dell’omicidio. Il film è un elogio al relativismo della verità. Se nell’incontro Trump-Putin una verità esiste, ho come la sensazione che sia quella del russo e non dell’americano. Ma la questione appare in fondo irrilevante. Conta che ognuno abbia raccontato la verità che i suoi sostenitori volevano sentire.
Una volta, più si andava in un paese autoritario più la verità era manipolata. Quando ero corrispondente in Unione Sovietica, ai tempi di Gorbaciov, la scoperta di verità diverse da quella ufficiale del partito fu un momento eccitante. Per i russi prima di tutto, ma anche per noi testimoni: passammo settimane fino a sera tardi davanti alla telescrivente della Tass, in attesa dell’annuncio della riabilitazione di Nikolaj Bucharin, il leader della “destra comunista” che Stalin fece processare e fucilare nel 1938. La giustizia a lui dovuta, come la riabilitazione di Alexander Dubcek e il ritorno di Solzhenitsyn dall’esilio, erano i segni del ripristino della verità.
I conti con la sua stessa storia la Russia non ha mai smesso di farli, sostituendo verità con altre. Dopo tanto cammino da Gorbaciov in poi, alla ricerca di un paese e un popolo nuovi, oggi è triste sentire l’ideologo della Russia contemporanea Vyacheslav Volodin, affermare che “Putin è la Russia e la Russia è Putin. Dunque, chi si oppone a Putin si oppone alla Russia”. Come tornare alla verità della Santa Madre Russia dalla cui divinità discendeva il potere dello zar.
Cosa è accaduto dopo le ore gloriose dell’agosto 1991, quando il popolo di Mosca si ribellò al tentativo di golpe del vecchio partito e corse in aiuto di Boris Yeltsin, assediato alla Casa Bianca sulla Moscova? Qualche settimana fa sull’inserto culturale del Financial Times (“Grandmother Russia”, 17 giugno), il Nobel Svetlana Alexievich ha compiuto una commovente ricostruzione. “Nessuno di noi che marciammo a quelle manifestazioni voleva Abramovich”: nel senso che nessuno s’immaginava che il socialismo di stato potesse essere sostituito da un capitalismo di stato con pochi e ossequienti oligarchi, nel quale comunque lo stato-grande-fratello restava l’unico vero potere. “Pensavamo che ognuno sarebbe stato libero di leggere Aleksandr Solzhenitsyn”, ricorda Svetlana Alexievich. Ma quando finalmente le sue opere furono pubblicate, “ognuno le ignorò per correre verso le 20 diverse qualità di biscotti e 10 varietà di salsicce”. Con nostalgia (più della giovinezza che politica) la grande scrittrice ricorda gli anni sovietici quando, “nonostante la povertà, eravamo più liberi. Gli amici s’incontravano nelle case, suonavano la chitarra, cantavano, discutevano, leggevano poesie”. Ecco di nuovo Rashomon: tratti positivi dell’epoca comunista, raccontati dalla scrittrice che ha sollevato veli dietro i quali si celava la brutalità di quel sistema. Una verità e un’altra opposta.
Credevamo, appunto, che la manipolazione della verità fosse appannaggio dei regimi autoritari. Poi sono arrivati il web, il populismo, Donald Trump e Rashomon è diventato globale. Il relativismo della verità è la norma alla Casa Bianca come sui social frequentati da noialtri, persone comuni. Se gli Stati Uniti bombardano un aeroporto in Siria perché il regime ha usato il gas e la Russia dice che l’arma chimica l’hanno invece usata i ribelli, siamo così abituati alla leggerezza della verità che non ci interessa più chi abbia ragione: passiamo subito al perché politico dell’avvenimento, e ad analizzarne le conseguenze. Come se stabilire il colpevole di un crimine così odioso non sia un punto importante.
Qualcuno potrebbe considerare parte del Rashomon globale anche il modo col quale Cinque stelle ha commentato la proposta del Pd d’inasprire le pene contro chi fa apologia di fascismo: “liberticida”. Credo che le leggi esistenti e un prefetto che faccia il suo lavoro bastino per fermare chi tentasse di ricostituire il partito fascista. E penso che un bagnino esaltato non sia una minaccia per la nostra democrazia. Per quanto gli episodi crescano in modo inquietante: i saluti romani in un cimitero milanese, la sindaca di un paese del ferrarese, la curva del Verona, il nuovo assessore allo sport di Monza che si dichiara nazista, un antisemitismo sempre più palese. Ma è quell’accusa esagerata di “liberticida” che mi ha colpito. Qui Rashomn non c’entra. E’ solo ignoranza: questi non hanno nemmeno studiato la storia e le tragedie del paese che sono certi di governare fra meno di un anno.