Niente di nuovo dal fronte orientale, almeno per ora. La Corea del Nord ha mostrato in parata il missile “capace di raggiungere gli Stati Uniti” ma non lo ha lanciato. Forse era un giocattolo. Ne ha sparato un altro ed è fallito. Siamo liberi di credere o dubitare delle capacità tecnologiche di quello strano paese: se davvero può mettere a ferro e fuoco l’intero Pacifico o sono tutte spacconate infantili.
Ma la grande domanda – il vero dubbio – resta. Perché la Corea del Nord sfida da anni il mondo intero? A cosa serve vivere così pericolosamente? Il regime può continuare a organizzare il suo campo di prigionia nazionale e affamare la sua gente, ad amministrare i suoi campi di rieducazione. Anche a invitare il senatore Antonio Razzi, pronto a partire “per fare lo scudo umano” (magari!). Ma per tutto questo non gli è necessario sfidare Stati Uniti e Cina. Perché lo fa?
Se Kim Jong-un lo volesse, potrebbe diventare un’icona pop internazionale: i capelli che sembrano ali di piccione sul cranio, sguardo e postura di chi non ha ancora deciso se essere un adulto che si comporta da bambino o viceversa; l’abito, le coreografie oceaniche di fiori e abiti tradizionali. Se alle ricorrenti parate non ci fossero anche missili, carri armati e centinaia di migliaia di donne e uomini in uniforme, la Corea del Nord potrebbe sembrare una specie di granducato asiatico, lo sfondo per un’operetta. Con una musica rock adeguata e un buon coreografo americano, sarebbe uno spettacolo. Magliette, mug e portacenere con il ritratto di Kim potrebbero essere venduti a milioni.
Invece il giovanotto ha deciso di essere un pericolo mondiale, seguendo la tradizione del padre Kim Jong-il e del nonno kim Il-sung. L’intera regione ha ritmi di crescita economica e scambi commerciali senza paragoni nel mondo. Ma lui ha trasformato l’Asia Orientale nell’angolo terrestre più pericoloso dopo il Medio Oriente.
C’è in apparenza qualcosa di malato nella sua ostinata corsa al nucleare, provocando Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e perfino Cina, il suo unico tollerante padrino. Il dottor Freud troverebbe facilmente una traccia sanguinaria nel carattere di Kim e dei suoi predecessori. E non faticherebbe a scoprire che il nocciolo è nel rapporto irrisolto padre-figlio di quella dinastia. Tuttavia, per quanto sulle prime appaia paradossale, c’è del realismo nella sua scelta di vita fra essere una minaccia per la stabilità o un’immagine popolare.
Se non avesse la bomba atomica e missili per lanciarla a una distanza preoccupante, se cioè non fosse pericoloso e imprevedibile come una tigre, il suo regime così antiquato sarebbe caduto da tempo. Gli stessi cinesi avrebbero già organizzato un colpo di stato, trovando qualche generale compiacente in quella repubblica più burocratico-confuciana che popolare e socialista. O nel migliore dei casi la Corea del Nord sarebbe già stata bombardata quattro o cinque volte come la Siria di Bashar Assad, la Libia di Gheddafy, l’Iraq di Saddam Hussein, Grenada,
la Baia dei Porci. Solo il senatore Razzi riesce a vedere nella Corea de Nord qualche attrattiva da soft power: quello che il paese ha invece in abbondanza è l’hard power e lo usa.
Come molti statisti con più esperienza di lui, il giovanotto ha capito che in questo mondo chi ha la “Bomba” conta più di chi non la possiede. Senza, Stati Uniti e Cina sarebbero potenze sdentate, la Russia non sarebbe una potenza, Francia e Gran Bretagna non conterebbero nulla. E la Corea del Nord sarebbe sì un fenomeno pop ma di breve durata.
Allego gli ultimi due commenti usciti in questi giorni sulle pagine del Sole 24 Ore.
Usa Russia – Dalla Guerra fredda alla pace fredda
https://www.facebook.com/ugo.tramballi.1/posts/1096006900503365
Tump, Kim e Xi
https://www.facebook.com/ugo.tramballi.1/posts/1097054060398649