I giudici egiziani sono tornati, sono ripartiti e non sembra che le cose siano così tanto cambiate. Quel poco che hanno lasciato offre uno scampolo di speranza solo perché la volta precedente non avevano lasciato niente: ad aprile era sembrato fossero venuti per farsi un viaggio gratis a Roma. Così strafottenti che il nostro governo decise di richiamare l’ambasciatore.
La strada verso la verità è ancora molto lunga. Credo che nessuno avesse mai pensato il contrario, dopo i comportamenti ridicoli e arroganti inziali delle autorità del Cairo: dai poliziotti nel quartiere dove abitava Giulio, ai ministri, al generale al Sisi. La loro volontà di collaborare finisce molti chilometri prima della verità che li coinvolge pesantemente. Tutti.
Due settimane fa in tv la prima puntata di Presa Diretta di Riccardo Iacona, dopo la pausa estiva, era stata in gran parte dedicata al caso Regeni. E’ giusto: tutti noi abbiamo il dovere di non lasciar cadere l’attenzione su questa tragica vicenda, di pressare il nostro governo e di non concedere nulla a quello egiziano. La trasmissione di Iacona era stata interessante, ascoltava molti personaggi necessari per capire. La giovane collega mandata sul campo al Cairo sarebbe stata ugualmente brava, anche se non avesse fatto un po’ di cinema: in certi punti il montaggio del suo reportage sembrava la trasposizione cinematografica di un romanzo di Le Carré. Il buon giornalismo richiede più essenzialità e understatement che teatralità.
Ma i miei sono dettagli di scarsa rilevanza. Conta non smettere di parlarne. Nell’intervista alla signora Regeni Madre Coraggio, la mamma di Giulio insisteva su un punto importante: fino a che gli egiziani non incominciano a darci verità, il governo italiano non deve rimandare al Cairo il suo ambasciatore. Una posizione più che comprensibile.
Eppure, nonostante i giudici egiziani siano venuti a darci solo una parte estremamente piccola di verità, credo sia comunque venuto il momento di rimandare il nostro ambasciatore al Cairo. E’ vero: potrebbe essere interpretato come un segno di appeasement verso le autorità egiziane. Loro così se la venderebbero: di sicuro. Ma il ruolo e l’importanza di un ambasciatore dipendono da quello che fa, non dal fatto di esserci.
Ci sono diplomatici che amano le feste e diplomatici vittime della sindrome di Stoccolma. Ma nella maggioranza dei casi i nostri ambasciatori sanno svolgere il loro delicato mestiere. Non conosco personalmente Giampaolo Cantini, che alcuni mesi fa la Farnesina aveva nominato al Cairo, come successore di Maurizio Massari, ora a Bruxelles alla Ue. Mi dicono che è un professionista e il suo curriculum lo conferma. Del resto nessun governo oggi manderebbe al Cairo un ambasciatore Roché Ferrero.
Con l’autorevolezza del suo ruolo, Cantini sarebbe in prima linea nel sostenere le richieste italiane, potrebbe fare pressione quotidiana sulle autorità, difendere le nostre posizioni. Nei giorni tragici di gennaio, non ci avrebbero mai fatto ritrovare il corpo di Giulio, se l’ambasciatore Massari non avesse picchiato i pugni alle porte dei ministri e dello stesso al Sisi. Se poi alla morgue fosse andato un funzionario d’ambasciata e non l’ambasciatore in persona, non lo avrebbero fatto entrare. E senza la testimonianza di Massari, probabilmente gli egiziani avrebbero fatto un po’ di cosmesi, prima di restituire il corpo martoriato di Giulio.
Per questo un ambasciatore al Cairo serve. Perché la vicenda non è finita e deve continuare, perché laggiù è necessario un presidio senza pause e autorevole. Infine è necessario perché nonostante l’esperienza di Giulio e nonostante le nostre autorità cerchino di dissuaderli, tanti altri giovani italiani vanno al Cairo a studiare. E tanti altri italiani sono al Cairo a lavorare.
E’ giusto che le imprese italiane riducano le loro prospettive di business in Egitto; e che le istituzioni governative non ne incentivino di nuove. Ma ci sono molti altri imprenditori che avevano investito in tempi non sospetti e che non possono lasciare i loro impianti e i loro lavoratori. Anche tutti questi italiani hanno bisogno della protezione di un ambasciatore in un paese difficile come l’Egitto.