Vi sembrerà fuori tema un post dedicato a israeliani e palestinesi in un blog di politica estera, con tutto quello che sta accadendo nella regione e nel mondo. Oltre a riflettere sul fatto che, prima o poi, a questo conflitto si torna sempre, considerate questo mio esercizio una specie di servizio civile, un volontariato professionale.
Non avendo molto da fare e sapendo che alle prossime elezioni i laburisti non si ripresenteranno con lui alla guida del partito, il simpatico Isaac Herzog ha scoperto come congelare la questione palestinese. Un gran bel muro di separazione, più grande e lungo dell’esistente: “Noi di qua, loro di là”. Ma a tempo determinato: “Dopo alcuni anni, se le cose sono quiete, possiamo discutere su cosa accadrà dopo”.
La proposta presenta alcuni lati pragmatici, che guardano alla realtà dei nostri tempi: riprendere il negoziato oggi è impensabile, l’unica cosa da fare è ibernarlo per impedire che le azioni del governo di estrema destra guidato da Netanyahu e il suicidio collettivo palestinese di questa piccola Intifada dei coltelli, rendano impossibile l’unica soluzione possibile. Cioè la formula dei due stati per due popoli.
Per quanto poco possa piacere ai puristi occidentali della pace, è realistico anche separare radicalmente i due popoli. In tempi un po’ meno sospetti lo sosteneva anche Yitzhak Rabin: dopo tutti questi anni di brutale conflitto è impensabile che israeliani e palestinesi possano convivere in pace. Per farlo, è necessario che prima si separino, che vivano le loro vite gli uni ignorando gli altri. Una camera iperbarica nella quale depressurizzare l’odio comune.
All’istituto di studi sulla sicurezza nazionale di Tel Aviv, dove ha presentato la proposta, Isaac Herzog ha spiegato che per raggiungere questa divisione, Israele dovrà prendere unilateralmente le sue dolorose decisioni: annettersi i tre blocchi di colonie (Ariel a Nord, Ma’ale Adumim a Est di Gerusalemme, Gush Etzion a Sud). Era già implicito nella trattativa dopo Oslo. Ma in cambio Israele doveva altrettanto implicitamente dare ai palestinesi un equivalente territoriale: di questo Herzog non parla.
Il laburista che forse non resterà ancora a lungo leader del partito, dimentica un’altra cosa importante. “Vivete le vostre vite, migliorate la vostra economia, create lavoro”, dice magnanimo ai palestinesi. Herzog non può essere così digiuno di economia da pensare che i palestinesi possano prosperare dentro i buchi del groviera cisgiordano il cui formaggio resta nelle mani israeliane; che le merci viaggino e l’occupazione si moltiplichi in un’entità che non ha il controllo delle sue frontiere. Perché il piano del post-laburista Herzog prevede che l’esercito continui a entrare e uscire dalla Cisgiordania e che controlli la frontiera con la Giordania.
In realtà questa non è una proposta da laburisti. L’idea è quella che aveva già applicato Ariel Sharon prima di cadere vittima di un ictus: si era ritirato da Gaza e da alcuni insediamenti in Cisgiordania, senza chiedere ai palestinesi cosa ne pensassero. Il risultato a Gaza fu di consegnare a Hamas l’intera striscia, aprendo la strada a tre impreviste guerre israeliane. Quella di Sharon, in ogni caso, fu un’idea brutale ma efficace: fosse vissuto a sufficienza, avrebbe risolto il problema a suo modo. Non bene ma comunque molto meglio di quanto non sia adesso.
Onestamente Herzog ricorda di avere in qualche modo rubato l’idea al vecchio Sharon. E tutto questo spiega perché dal 1977 i laburisti hanno vinto le elezioni soltanto due volte, con due ex generali: Rabin e Ehud Barak. Tutte le altre le hanno portate a casa il Likud e i suoi epigoni.
Dopo aver creato Israele con la volontà, la forza e la brutalità che richiedeva l’impresa, ad un certo punto del cammino il sionismo socialista ha scoperto che per concluderla bisognava ammettere l’esistenza dei palestinesi e trovare il modo di conviverci. Per sfortuna e incapacità, non hanno quasi mai trovato la formula che convincesse la maggioranza degli israeliani. Nemmeno adesso che il paese mostra segnali sempre più preoccupanti di tribalismo e di razzismo.
Allego due articoli usciti in questi giorni sulle pagine del Sole 24 Ore: un commento sui cinque anni delle Primavere arabe e un’intervista fatta a Washington, a Dennis Ross, storicamente inutile negoziatore americano del processo di pace fra israeliani e palestinesi.
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