Allego la versione più lunga del mio commento uscito oggi sul Sole-24 Ore in versione ridotta per esigenze di spazio.
L’Ucraina non è geograficamente né politicamente lontana dalla Siria e dal resto del Levante in fiamme. Non solo perché i tatari di Crimea, annessa dalla Russia, sono turchi: un tassello in più nello scontro con Erdogan. E’ difficile pensare che partecipando sia pure a suo modo ai bombardamenti dell’Isis, Putin non avesse in mente una scorciatoia per i suoi problemi ucraini, alla ricerca di concessioni occidentali.
E’ il grande timore di Petro Poroshenko, il presidente ucraino, che teme di dover pagare un prezzo per una guerra alla quale il suo paese non è interessato. Il calcolo russo e la preoccupazione ucraina non sono in fondo sbagliati se la domanda che si pongono un numero crescente di europei, alcuni governi e molte imprese, è: come possiamo imporre sanzioni economiche a un alleato nella guerra all’Isis? Qualche settimana fa un alto funzionario del ministero degli Esteri francese in visita a Roma, spiegava che le sanzioni alla Russia non possono essere cancellate da un giorno all’altro. Tuttavia è possibile prevedere una progressiva diminuzione. Una tesi che entusiasma Farnesina e Confindustria.
Di avviso piuttosto diverso era uno dei responsabili del dossier sanzioni al dipartimento di Stato, incontrato la settimana scorsa a Washington. “Le sanzioni continuano e non è prevedibile un cambiamento”. La differenza fra europei e americani è soprattutto sull’analisi dei comportamenti di Putin. I primi tendono a credere che il presidente russo abbia superato la fase interventista europea e che la sua partecipazione alla coalizione contro l’Isis meriti qualche considerazione.
“Un errore imperdonabile sarebbe accettare ogni scambio fra Siria e Ucraina”, scriveva ieri il Financial Times, echeggiando una posizione simile a quella americana. “Non creda che anche al dipartimento di Stato non abbiamo file di imprenditori americani che si lamentano delle sanzioni”, spiega il funzionario a Washington. Ma per gli Stati Uniti la revisione e ogni allentamento delle sanzioni economiche non passano da ciò che accadrà nei cieli su Raqqa ma da quel che succede in Ucraina orientale, e dall’avanzamento degli accordi di Minsk. “Solo quando le frontiere orientali con la Russia torneranno sotto il controllo del governo di Kiev, rivedremo le sanzioni”. Ora quelle frontiere sono nelle mani delle forze filo-russe ucraine, cioè di Vladimir Putin.
La crisi economica russa è sempre più profonda, anche se per ora continua a non intaccare il consenso popolare di Putin, sempre più plebiscitario. Un’approvazione più fondata sullo spirito nazionalistico collettivo che sulla effettiva conduzione del paese. Ma è difficile essere certi che siano le sanzioni occidentali a incidere di più sulla crisi russa, e non invece il calo del prezzo del petrolio e l’incapacità del governo di fare le necessarie riforme economiche. “Che siano il 40 o il 60% del problema, comunque le sanzioni funzionano”, prosegue il diplomatico americano. “E se il processo di Minsk cessasse di funzionare, saremmo costretti a intensificarle”.
Molto più della Siria, la crisi ucraina ha a che vedere col modo in cui noi a Occidente guardiamo i russi e loro noi. Continuiamo a non fidarci degli obiettivi finali di Putin; e per Putin è una minaccia la stessa esistenza dei regimi democratici occidentali, le loro libertà civili, l’economia di mercato e non quella degli oligarchi. In realtà i vecchi parametri della Guerra fredda sono ancora in vigore.
Qualche giorno fa Il Centro di studi strategici, il Csis di Washington, aveva organizzato un dibattito dal intitolo intrigante: “Cosa direbbe oggi John Kennan se dovesse scrivere un nuovo Long Telegram?”. Kennan fu il diplomatico che nel 1947 inviò da Mosca il primo resoconto di ciò che l’Urss di Stalin stava diventando dopo aver combattuto insieme agli alleati occidentali. “Oggi la Russia è troppo legata al resto del mondo”, ha tentato di dare una risposta il tedesco Ulrik Speck, della Transtlantic Accademy. ”L’Urss rappresentava un sistema con un’ideologia coerente. Oggi la Russia è in movimento verso una direzione imprecisa. Non è una potenza espansionista: la sua aggressività è difensiva verso un potere e uno spazio geopolitico che ritiene continuamente minacciato”. Ciò che nel XXI secolo definirà una superpotenza saranno sempre di più la sua forza economica e le alleanze: la Russia non ne ha molti di alleati e la sua economia è in crisi. Sono dunque utili le sanzioni o rischiano di peggiorare i difetti di Vladimir Putin? E’ come la guerra all’Isis: per ora ognuno la fa a modo suo.