Scrivendo sulla materia, a volte mi lamento che la classe politica italiana parli troppo poco di questioni internazionali. Ma quelle poche volte che ne parla, mi pento di essermi lamentato. Superficialità, impreparazione, l’interesse nazionale trasformato in partigianeria partitica, le tragedie di altri popoli abbassate al cicaleccio casalingo dei talk show.
L’Istituto di studi di politica internazionale di Milano, l’Ispi, ha appena pubblicato il suo annuario intitolato “In mezzo al guado”. http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/rapporto-2015-mezzo-al-guado-scenari-globali-e-litalia-12145
E’ la condizione del mondo rimasto senza un ordine internazionale né una superpotenza – gli Stati Uniti – intenzionata ad assumersi le responsabilità del ruolo; in una crisi economica dalla quale l’Occidente fatica a uscire; con due crisi devastanti alle porte di casa nostra: Medio Oriente e Ucraina.
Di “In mezzo al guado” mi è stato affidato il capitolo dedicato alla politica estera italiana: chi la fa, il Paese che c’è dietro, il ruolo reale e quello immaginario dell’Italia nel mondo.
L’ultimo esempio della mediocrità del dibattito italiano sulla politica estera è stato il voto sul riconoscimento dello Stato palestinese, l’altra settimana in parlamento. C’è chi ha votato pensando che il giorno successivo i palestinesi avrebbero avuto uno Stato e chi temendo che in questo modo l’Italia avrebbe rotto le relazioni con Israele, minacciandone l’esistenza.
Senza troppi clamori né alcuna conseguenza politica, diversi parlamenti nazionali e quello europeo di Strasburgo, avevano già votato. Israele è sempre lì e la Palestina no perché tutti, anche i sostenitori di uno Stato palestinese, sanno che solo il negoziato potrà garantirlo. I deputati italiani dovevano solo esercitarsi in retorica, compiere un gesto di simpatia e sostegno per i palestinesi “buoni” di Ramallah che hanno scelto di negoziare con Israele, diversamente dai “cattivi” – Hamas – che sacrificano il popolo di Gaza per la loro stupida tauromachia islamista.
La stampa non è stata a guardare. Sul Corriere della Sera – non un giornale qualsiasi – Pier Luigi Battista aveva già disinformato i suoi lettori, ricordando che un voto a favore dello Stato palestinese sarebbe stato un voto a favore dei terroristi. Il messaggio era: se esistono palestinesi che non siano terroristi, prima o poi lo diventeranno, è solo questione di tempo.
Così alla fine in parlamento sono passate due risoluzioni, una che potremmo definire filo israeliana e una filo palestinese. E per non saper leggere né scrivere, un buon 50% dei deputati ha detto sì all’una e all’altra.
All’inizio della mia carriera sono stato cronista comunale a Milano: erano i tempi di Carlo Tognoli, una brava persona, travolto ingiustamente dalla bufera di Tangentopoli. Una volta l’anno il consiglio comunale dedicava una seduta al “Dibattito sulla cultura”. Una consigliera del Movimento sociale citava sempre un tal Grode de Monroe come fosse Sant’Agostino. Il capo gruppo della Dc, all’opposizione, tuonava: “E’ ora di aprire questo cahier d’Orleans contro la maggioranza!”, confondendo la città della Pulzella con i quaderni nei quali si annotavano le lamentele dei cittadini, le doléances, ai tempi della Rivoluzione francese. La sinistra sparava le sue e tutti tornavano a casa soddisfatti per avere elevato il livello culturale del consiglio comunale e della cittadinanza milanese tutta.
Devono essersi sentiti così anche i deputati, alla fine della loro votazione palestinese, dopo aver spacciato aria fritta per una cosa seria. Peggio: per aver usato il dramma di due popoli per produrre la loro aria fritta. E che dire della politica estera di Matteo Salvini, fatta con le magliette. Ma a un livello più elevato e dunque più inquietante, che idea della diplomazia italiana si fanno gli alleati all’estero e l’opinione pubblica a, casa quando il ministro degli Esteri Gentiloni passa nello spazio di due settimane dalla chiamata alle armi per la Libia al “niente allarmismi”? Intanto non è ancora stata data una spiegazione esauriente alla chiusura della nostra ambasciata a Tripoli.
In questi giorni sono stato a parlare di politica estera agli studenti di Scienze politiche alla Statale di Milano e a quelli di Sociologia a Trento. Due/trecento ragazzi per incontro, informati e quasi tutti desiderosi di affrontare una carriera diplomatica al servizio del Paese. Deputati, tribuni, ministro, questi giovani non meriterebbero un po’ di serietà?