La pace del secolo fra Israele e Palestina (Trump dixit)

kushner3Donald Trump ci sta preparando una nuova grande sorpresa d’estate. No, non l’imminente vertice della Nato nel quale l’Alleanza Atlantica farà la fine del G7: cioè diventerà un altro campo di battaglia fra l’America e l’Occidente. Non lo sarà nemmeno il successivo incontro a Helsinki fra Trump e Vladimir Putin: il primo vertice fra due grandi potenze bianche, cristiane e populiste, contro gli smidollati sistemi liberal-democratici. La sorpresa sarà ancora più impensabile: un nuovo piano di pace fra israeliani e palestinesi!

“L’Accordo del Secolo”. Dopo aver convinto Kim a rinunciare al suo programma nucleare (così almeno crede Trump), cosa ci può essere di più succoso per soddisfare la vanità del presidente americano? Jared Kushner, il “Presidential son-in-law” e nuovo Kissinger della diplomazia di casa Trump, ha praticamente concluso il suo negoziato fra protagonisti e comprimari dell’ormai centenario conflitto mediorientale. Il piano è già stato presentato in anteprima al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che non ha commentato.

Per quello che si sa, i palestinesi dovrebbero spostare la loro capitale ad Abu Dis (già menzionata nella trattativa di Camp David del 2000) dalla quale si vede la cupola della moschea di al-Aqsa, ma che non è esattamente Gerusalemme Est araba rivendicata dai palestinesi. La trattativa di Oslo II del 1995 aveva diviso la Cisgiordania in tre aree: la A sotto il controllo palestinese, la B a controllo congiunto, la C interamente a giurisdizione israeliana. Nel nuovo piano americano quest’ultima resterà sotto il controllo d’Israele che tuttavia non potrà annetterla. Nelle altre due potrà invece nascere uno stato palestinese.

Prima ancora dello scontato rifiuto dell’Autorità palestinese, gli Israeliani non accetteranno mai il piano. Il governo di estrema destra di Bibi Netanyahu ha abbandonato l’idea di una soluzione con due stati, sta colonizzando i quartieri arabi di Gerusalemme ed è ormai a un passo dalla realizzazione dell’obiettivo che si era posto: una Grande Israele dal Mediterraneo al fiume Giordano. Tuttavia diranno come sempre “si ma”, per non offendere il super-alleato Trump che ha appena spostato l’ambasciata americana a Gerusalemme. Lasceranno ai palestinesi la responsabilità di dire “no”. E come sempre, questi ultimi cadranno nella trappola. Lo hanno già fatto. Abu Mazen ormai si rifiuta d’incontrare Kushner, il suo negoziatore-capo Jason Greenblatt e l’ambasciatore americano David Friedman, un estremista sostenitore dei coloni più reazionari. Così Kushner ha annunciato che la pace fra israeliani e palestinesi si può fare anche senza i palestinesi.

Nell’ultimo incontro tempestoso, Saeb Erekat, negoziatore palestinese da quasi 30 anni, aveva detto a Kushner di avere l’idea di “trattare con agenti immobiliari”. E Kushner gli aveva risposto: “Saeb, non sei riuscito a fare la pace con i politici. Forse hai bisogno di un agente immobiliare”. In effetti, spiega Jonathan Tobin del quotidiani israeliano Ha’aretz, “Trump, Kushner, Greenblatt e Friedman vedono i palestinesi come l’equivalente morale di un proprietario convinto di poter sopravalutare un immobile che invece ha perso di valore e nessuno vuole”.

Ci sono altri conflitti di maggior pregio oggi in Medio Oriente e gli unici possibili acquirenti di uno stato palestinese – i paesi arabi – non sono più così interessati all’affare. Il miglior socio della proposta Kushner-Trump & Sons Real Estate, è Mohammed bin Salman, meglio noto come MbS, il principe ereditario saudita. La parte forse più pregiata e certamente nuova di questo possibile big deal, è che con il si di MbS, i palestinesi devono rinunciare a Gerusalemme Est come capitale, e che nel processo di pace il caso palestinese dovrebbe essere smontato in due tronconi diversi: aiutando Hamas a rinascere economicamente a Gaza in cambio dell’ accettazione del piano americano; abbandonando al loro destino la Cisgiordania e i partner storici del negoziato: Ab Mazen, l’Autorità palestinese, l’Olp e Fatah.

Re Salman saudita, come Abdullah di Giordania e l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi, hanno qualche seria esitazione: vorrebbero liberarsi anche loro dell’infinita causa palestinese ma temono la reazione del mondo arabo a un accordo fatto contro la volontà palestinese.

Infine i coprotagonisti. E’ impensabile che si possa fare una pace per la Palestina senza la Palestina. Ma questo rischia di essere il folle prezzo di 30 anni di niet. Il no a Camp David nel 2000, alla proposta molto allettante Olmert-Livni nel 2008, alla “comprehensive vision” di John Kerry nel 2016, in nome di un “tutto e subito” che ha portato a un trentennio di nulla, sono una delle cause della tragedia e del fallimento palestinesi. Barack Obama ha governato in America per otto anni, mai i palestinesi avevano avuto alla Casa Bianca un presidente così comprensivo per la loro causa e così deciso a mettere Israele con le spalle al muro della loro occupazione. Abu Mazen e la sua corte di burocrati mediocri a Ramallah, sono riusciti a indispettire anche Obama e perdere forse l’ultima grande occasione.

Anche questa volta, l’Olp ha lanciato una campagna per fermare il piano di pace dell’immobiliarista Kushner. Uno dei manifesti della mobilitazione palestinese dice: “Nessun diritto è perduto se qualcuno continua a cercarlo”. Concettualmente, ha un alto valore morale; nella pratica, 70 anni dopo la Nakba, è l’ammissione di una nuova sconfitta e l’annuncio di altri 40 anni a vagare nel deserto.

 

 

 

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