Obama, un presidente storico. Per gli americani, non per noi

 Obama Gli storici, scriveva ieri il New York Times, paragoneranno le riforme di Obama sull’assistenza medica “alla Social Security di Franklin Roosevelt e al Medicare di Lyndon Johnson: un altro passo verso l’umanizzazione del sistema industriale americano”. Sembra sempre più chiaro che il presidente stia cambiando l’America e che continuerà a farlo con più forza nel secondo mandato, se vincerà di nuovo.

  Superata l’assistenza sanitaria, si occuperà di

 riformare il sistema scolastico e, atteso dalle persone oneste di tutto il mondo, cambierà le regole del posto più immorale dell’emisfero occidentale: Wall Street. Gli americani lo mettono già fra i “transformational presidents”, quelli che hanno cambiato il modo di vivere del Grande Paese. Come F.D.R. e L.B.J., appunto; e come Ronald Reagan della cui eredità – il governo non è la soluzione ma il problema – Obama rappresenta la fine e il radicale cambiamento.

  Spinto dal sì della Corte suprema sull’obbligatorietà del servizio sanitario, Barack Obama entrerà dunque nella Storia. Ma quella americana, non la nostra. E’ naturale che faccia un favore al mondo intero un presidente capace di rendere più civile la superpotenza globale; di porre fine a 30 anni di crescenti disuguaglianze sociali; di fermare la progressiva distruzione di quella categoria sociale che ha fatto grande l’America, la middle class. Ma quattro anni fa, con quel semplice “yes, we can”, noi pensavano anche ad altro. Pensavamo alla fine di quei cupi otto anni di guerre e neo-imperialismo dell’amministrazione Bush. Pensavamo che il presidente al quale era stato dato un Nobel per la pace sulla parola, prima ancora che facesse qualcosa di concreto, si sarebbe anche occupato del mondo per migliorarlo.

  Che accelerasse il disarmo nucleare: ha fatto più di chiunque altro ma meno di quello che era stato promesso. Che mettesse basi di cemento armato alla costruzione di un nuovo ordine internazionale in questo disordinato multilateralismo. Che costringesse Israele a riconoscere il diritto palestinese a uno Stato. E poi l’Islam. Il discorso dell’università di al Azhar, al Cairo, ammetteva l’esistenza di un Islam civile e moderato col quale convivere, dopo la tragedia dell’11 settembre, al-Qaeda e le risposte sbagliate di Bush.

  Invece è accaduto poco o nulla. Sul nucleare Obama si è trovato davanti un Putin dalle tentazioni sempre più totalitarie. Sul multilateralismo nessun nuovo ordine può nascere in una stagione di crisi economica. Sulla Palestina il presidente ha scoperto che la lobby ebraica esiste davvero, che Israele è sempre più di destra e i palestinesi sempre meno realisti. Sul mondo islamico è piombata la Primavera in tutti i suoi aspetti. La regione e i popoli ai quali Obama si era rivolto nel discorso del Cairo sono completamente cambiati. Qualcuno dice anche grazie a quel discorso sulle libertà e la tolleranza, e in questo c’è una parte di verità. Molto prima degli europei, gli americani hanno compreso l’ineluttabilità del cambiamento e dentro questo mutamento l’ineludibile affermazione dei Fratelli musulmani con i quali hanno avviato per primi un dialogo. 

  Poiché in nessuno di questi problemi gli Stati Uniti hanno la capacità d’imporre soluzioni, nei prossimi quattro anni Barack Obama non cercherà più di essere un presidente diplomatico: come Richard Nixon che aprì le porte alla Cina o Bush padre che in quattro anni governò una riunificazione tedesca, una dissoluzione sovietica, una liberazione del Kuwait, un processo di pace fra arabi e israeliani.

   In America e in Occidente c’è crisi economica: poco tempo e troppo poco denaro per costruire un grande disegno. Obama si limiterà a fare dell’America un posto migliore e per noi sarà un’opportunità mancata. Ma non si deve preoccupare: non gli chiederemo indietro il Nobel.

 

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  • doretta davanzo poli |

    nooo? sicuro? non si può!

  • carl |

    Non c’è dubbio. Come indicato sul NYTimes, la riforma sanitaria obamiana rappresenta: “..un altro passo verso l’umanizzazione della società americana (più che del suo sistema industriale)..”.
    Che Obama sia riconfermato o meno non lo so, quello invece che intuisco (e vorrei sbagliare) è che se l’amministrazione andasse ai cosiddetti “repubblicani” ci potrebbero essere dei passi indietro e/o comunque sbagliati (con le relative e magari anche inattese conseguenze) sia sul piano interno che internazionale.Quanto pericolose e quanto veloci? In effetti anche la velocità è un fattore importante. E chiudo riprendendo la considerazione iniziale ove anche la velocità (di attuazione) è importante..Infatti, quanto tempo ci vorrà affinchè le modifiche approvate diventino concreta realtà per i tanti che le attendono ? E mi viene in mente l’esempio (italiano) del problema della terapia antalgica. Ci furono, ormai parecchi anni, fa le decisioni dell’allora ministro e famoso oncologo Veronesi..Titoloni dei giornali “Terapia del dolore finalmente risolta. I malati italiani non soffriranno più..!” E invece, in realtà, assai poco cambiò. Una miglioria ci fu, ma assai relativa e contenuta e in molti ospedali poco o nulla cambiò. Anni dopo il problema fu ripreso e anche allora sembrò che finalmente esso fosse stato capillarmente ed adeguatamente risolto.. E invece idem con patate..
    Ancor oggi un malato terminale anche se entra in un ospedale (e a casa nmen che meno a meno che paghi la relativa presena e assistenza privata)non è certo di poter essere adeguatamente e continuativamente aiutato a rendere i dolori “sostenibili” e/o a misura d’uomo che dir si voglia..
    Insomma tra il dire, il fare (e gli annunci mediatici) il più delle volte c’è di mezzo il mare…

  • Fulvio |

    …”Tutto nel mondo cambia – governi compreso, il mondo arabo rimane un monolite fermo!”…mi perdoni la domanda: se l’autore vive nel mondo di Walt Disney, lei dov’è stato nell’ultimo anno?
    Se pure la primavera araba è una “costruzione” occidentale, come forse lei ritiene, parlare di mondo arabo come un monolite fermo mi sembra un tantino azzardato anche semplicemente considerando le dimensioni demografiche e le realtà statuali dei Paesi che questa definizione comprende. Tra l’altro l’atteggiamento diverso verso la causa Palestinese è un’ulteriore conferma di tali diversità.
    Se vogliamo essere eurocentrici facciamolo fino in fondo: così come parliamo di Europa degli Stati e dalle identità diverse, applichiamo lo stesso criterio ad un mondo molto più grande e complesso. Quello arabo appunto. Forse eliminiamo un bel po’ di superficialità.
    I miei complimenti all’autore dell’articolo per la sintesi ed il dettaglio dell’analisi.

  • Eduardo |

    Israele piu a destra, gli arabi sempre piu fascio islamico. Non ricordo miglioramenti con la sinistra israeliana al governo, Pare che Camp David (Barak,Clinto, Arafat è stato un fallimento nonostante l’offerta di Barak PM israeliano di restituire 99% di cio che chiedevano i palestinesi. Ancora con la “primavera araba” ? Il signore cha ha scritto questo articolo vive eventualmente nel mondo di Walt Disney. Tutto nel mondo cambia – governi compreso, il mondo arabo rimane un monolite fermo!

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