Mediocrità repubblicana. Primarie in Iowa

ImagesCA94IJZWJames Traub, vivace editorialista di vari giornali americani, racconta dell’effimera candidatura di Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota. Credendo di seguire il percorso corretto del vecchio establishment internazionalista del partito repubblicano, a giugno Pawlenty era andato a parlare al Council of Foreign Relations. “E’ sbagliato”, aveva detto, “che il partito ignori le sfide della leadership americana nel mondo”. E la sua candidatura, racconta Traub, è affondata come un sasso. “Probabilmente aveva perso troppo tempo con la politica estera”.

  Se escludiamo l’America del confronto termonucleare con l’Unione Sovietica, in nessun paese al mondo un candidato vince le elezioni con la politica estera. George H.W. Bush aveva gestito con intelligente coraggio la fine dell’Urss e vinto la prima guerra del Golfo. Ma fu battuto dallo slogan dello sconosciuto governatore dell’Arkansas: “It’s the economy, stupid”. Anche Bill Clinton ha poi passato gran parte della presidenza occupandosi del ruolo americano nel mondo. Ma fu l’economia a farlo vincere due volte.

  Che la si butti in economia o in politica estera, il dibattito in Iowa dove sta per iniziare il cammino delle primarie, è sconfortante. Nel primo caso la sola stella che guida i repubblicani è fare a qualsiasi costo il contrario di Barack Obama, una specie di islamo-socialista per questo consesso di reazionari. “Se pensi a Roosevelt, a Johnson e ora a Obama”, quello che sta accadendo con le presidenze democratiche “è proprio il balzo finale verso il socialismo”, dice Michele Bachmann, guerrigliera del Tea party.

  Il dibattito repubblicano sulla politica estera, che qui ci interessa di più, non provoca tanto sconforto quanto paura di essere loro alleati. Gli americani sono liberi di scegliersi il presidente che vogliono. Quanto alla visione del mondo, però, la scelta del candidato riguarda anche noi alleati. La qualità delle posizioni repubblicane va oltre la giusta obiezione del columnist neo-conservatore Robeet Kagan: “Tutti i partiti d’opposizione tendono ad essere isolazionisti”. Colin Powell, Brent Scowcroft e soprattutto Henry Kissinger, le “barbe grigie” come chiamano i repubblicani di oggi l’establishment moderato-realista di ieri, facendo l’interesse dell’America pensavano anche all’interesse degli alleati che, dopo tutto, era sempre interesse dell’America.

  La visione degli analfabeti del mondo che corrono alle primarie dell’Iowa, è devastante come un’atomica. Prendiamo la sintesi da terza elementare che propone Mitt Romney, il più colto dell’allegro bandwagon repubblicano: “Ci sono quattro nazioni o gruppi di nazioni che vogliono guidare il mondo: la Cina, la Russia, i jihadisti e naturalmente noi, le democrazie” (urca!). Newt Gingrich crede di essere ancora in piena Guerra fredda: sostituisce solo l’Urss con l’Iran. Poi aggiunge che i palestinesi sono un popolo “inventato”, non esistono se non come organizzazione terroristica. “Quello che non permetterò”, aggiunge, “è che Israele sia minacciata da un nuovo olocausto” (?). Romney ne dice un’altra: “Non penso che l’America debba avere il ruolo di leader del processo di pace. Dovrebbe stare dalla parte del suo alleato” israeliano. L’America come bancomat di Israele che preleva denaro senza pagare, ha osservato Thomas Friedman del New York Times. I candidati repubblicani non pensano tanto alla lobby ebraica, troppo colta per credere agli slogan elettorali e non così vasta e ricca come gli evangelici cristiani: i quali stanno con Israele più per visione fondamentalista biblica che per interesse nazionale.

  Iran e arabi (qualche candidato crede siano sinonimi) solo terroristi; Cina da contenere con le armi; arsenali nucleari non negoziabili con i russi. Come dice Traub, “per i conservatori di oggi il mondo è fondamentalmente una minaccia”, mai un’opportunità.

  Ma “al di sopra della sgradevolezza di Gingrich e della mediocrità di Romney, c’è un candidato silenzioso”, scrive The Nation, il più di sinistra e antico settimanale d’America (1865). “E’ il fiume di denaro che le corporazioni e Wall Street riverseranno sulle elezioni. La minaccia posta alla nostra democrazia non dovrebbe essere sottostimata”. I pirati di Wall Street, protetti e vezzeggiati dai repubblicani, hanno già dimostrato di detestare l’euro. Figuratevi noi europei. Buon Anno.

 

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  • mogol_gr |

    Sì perché quella democratica…

  • doretta davanzo poli |

    aiuto! non ci resta che sperare nella “Divina Provvidenza”, che qualche volta ci coglie (Cfr.don Verzè)

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