Cronache da Tahrir, ultima parte. L’inizio della fine

 PIAZZA-TAHRIR  I nostri hanno di nuovo affollato la grande piazza per manifestare contro i militari; e gli altri dell’ancien régime, in una piazza più piccola per poterla riempire, hanno manifestato a favore. Come una settimana prima, come se nel frattempo non ci fossero state le elezioni, come se il fatto nuovo egiziano – previsto ma forse non in queste dimensioni – non fossero gli islamisti.

  Scendere oggi in piazza Tahrir contro il potere dei militari ha sempre un senso: le forze armate continuano ad agire pensando di presiedere anche al futuro del Paese. Ma è come dedicare le proprie energie al fattore meno rilevante della scena egiziana: una manifestazione fuori tema. E’ probabile che ora anche i militari guardino con più preoccupazione alle intenzioni dei Fratelli musulmani e dei salafiti che dei giovani di Tahrir, per quanto determinati e combattivi continuino ad essere.

  Oggi chiedersi quali siano le ambizioni del generale Tantawi e dei militari al potere (in fondo si conoscono) non è tanto importante quanto cercare di capire cosa voglia la fratellanza, ora che sta vincendo: le prossime due tornate elettorali di metà dicembre e inizio di gennaio confermeranno e forse estenderanno il suo successo, cambiando alcune cose. Il piano, prima delle elezioni, era che il nuovo parlamento convocato a marzo, non dovesse nominare un nuovo governo. L’esecutivo resterà quello attuale di salvezza nazionale che i militari stanno faticosamente creare. L’Egitto è una repubblica presidenziale, i militari stanno facendo le veci del presidente che ora manca e sarà forse eletto solo a giugno: quindi, dicono i militari, è Tantawi che fa il governo. I Fratelli musulmani non avevano obiettato, avevano aggiunto di non volersi candidare alla presidenza e affermato che il primo governo democratico che nascerà, dovrà essere di coalizione: nessuno può guidare da solo l’Egitto democratico, sostenevano.

  Non c’è nulla che indichi un cambio di programma. Ma la vittoria elettorale potrebbe essere una tentazione e il successo inaspettato del messaggio radicale salafita una pressione. Cosa accadrebbe se, forti del consenso popolare, i Fratelli musulmani cercassero di avere subito più potere e tentassero di orientare la Costituzione verso contenuti fortemente islamici? E’ il nuovo parlamento a maggioranza islamica che dovrà designare la commissione incaricata di elaborare la nuova carta fondamentale. E cosa farebbero i giovani di Tahrir in questo caso?

  Il gioco delle alleanze naturali si è fatto più complicato. Gli islamisti e la piazza concordano che i militari debbano cedere il loro potere politico; gli islamisti e i militari sono entrambi preoccupati del ruolo autonomo della piazza; la piazza e i militari sono contro la trasformazione confessionale dello Stato e delle sue leggi.

  Forse sono troppo pessimista ma ora che il gioco si farà più duro, ho la sensazione che delle tre forze i giovani di Tahrir siano i più deboli. Non ci sarebbero mai state elezioni così libere in Egitto se a gennaio non fossero scesi in piazza e due settimane fa non vi fossero tornati a lottare. E ora le elezioni rischiano di segnare la loro progressiva irrilevanza, l’inizio della fine di Tahrir. Non è uno scherzo del destino, questa è politica.